In occasione del Convegno AIUC "L'iter diagnostico-terapeutico nella prevenzione e nella cura delle ulcere del piede diabetico" che si terrà domani 13 dicembre presso il Maria Cecilia Hospital in via Corriera 1 a Cotignola (RA), il Dott. Filippo Magnoni, Referente di Chirurgia Vascolare dell'Ospedale Maggiore di Bologna, approfondirà il tema della diagnostica vascolare invasiva.
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In questa intervista il Dott. Magnoni ci ha introdotto l'argomento spiegandoci cosa si intende quando si parla di diagnostica vascolare invasiva e quali saranno gli sviluppi futuri di questo settore. Per chi vuole saperne di più vi aspettiamo domani al Maria Cecilia Hospital a partire dalle ore 8.00!
Buongiorno Dott. Magnoni, il suo intervento al Convegno del 13 dicembre sarà sulla diagnostica vascolare invasiva. Ci può spiegare cosa si intende con questo termine?
La diagnostica vascolare è un'insieme di tecniche utilizzate per la valutazione della vascolarizzazione del nostro organismo e presenta diversi livelli di complessità. Il primo è quello più semplice e prevede una diagnosi basata essenzialmente sulla clinica, la palpazione dei polsi e l'esame ispettivo degli arti, al secondo appartiene la diagnostica strumentale non invasiva come doppler CW ed Ecodoppler. Al terzo livello c’è la diagnostica di media invasività che implica l’uso del mezzo di contrasto, ovvero un farmaco iniettato in vena che permette di evidenziare zone critiche e zone sane e cioè l' AngioTc o la Risonanza Magnetica, infine il quarto livello è rappresentato dall’angiografia, considerata la diagnostica gold standard ma nello stesso tempo la più invasiva perché prevede l’iniezione del mezzo di contrasto iniettato direttamente in arteria con un catetere.
Dunque il suo intervento si focalizzerà sulla tecnica diagnostica angiografica. Quali sono i vantaggi e i limiti di questa tecnica?
L’angiografia è la tecnica che consente di ottenere una maggior certezza nella diagnosi ma nello stesso tempo presenta alcuni rischi: innanzitutto, come già spiegato, è più invasiva e quindi più rischiosa perché, oltre alle possibili problematiche di Insufficienza renale e se pur minimamente di allergie, implica un foro in un’arteria in cui il sangue scorre ad alta pressione. Inoltre restituisce un’immagine di flusso e quindi non consente di ottenere informazioni sulla parete delle arterie o di fornire informazioni precise sull’accoglienza del circolo periferico, cosa che invece si può ottenere con l’eco-doppler. Per questo è necessario che l’attività diagnostica preveda sempre la combinazione di diverse tecniche in grado di fornire tutte le informazioni per una giusta valutazione della situazione vascolare, soprattutto in previsione di una procedura chirurgica.
Ci ha detto che l’angiografia è una tecnica diagnostica piuttosto rischiosa. E’ sempre necessaria per valutare le condizioni di vascolarizzazione di un paziente?
Non è sempre necessaria. La letteratura scientifica tende a stratificare i pazienti e a suggerire procedure standard, ma in realtà per ciascun caso va effettuata una valutazione precisa tra costi (rischi) e benefici per individuare le giuste tecniche o trattamenti da utilizzare a seconda delle condizioni di salute e di vita del paziente e soprattutto in base alla situazione clinica ed alla strategia operativa che si intende utilizzare.
Lo sviluppo di nuove tecnologie ha permesso di affinare molto la diagnostica attraverso strumenti a media invasività (come Tac, AngioTac, Angiorisonanza e in particolare l’eco-colorDoppler), per questo se vengono combinare correttamente le diverse tecniche di diagnosi sulla base delle condizioni specifiche del paziente, oggi è possibile evitare quelle più invasive come l’angiografia.
In questa ottica assume un ruolo fondamentale l’esperienza di chi compie la diagnosi e proprio per questo è importante che la diagnostica vascolare diventi un bagaglio culturale anche del chirurgo vascolare e dell’angioradiologo.
Lo scenario della diagnostica è in mutazione. Quale diventa allora il ruolo dell’angiografia?
Così come le nuove tecnologie hanno permesso di affinare la diagnosi con strumenti meno invasivi, lo stesso vale per le procedure di rivascolarizzazione. In passato si usavano solo procedure tradizionali che prevedevano l’intervento chirurgico per tutti i pazienti con questo tipo di problematiche, oggi invece è diventato possibile far diventare l’angiografia, una tecnica che fino a poco tempo fa era prevalentemente diagnostica, un vero e proprio intervento terapeutico per la risoluzione del problema.
In casi selezionati, attraverso l’angiografia infatti è possibile entrare nell’arteria con un catetere per effettuare dilatazioni attraverso palloni dedicati o posizionare stent che consentano al sangue di tornare a scorrere dove prima vi era una stenosi (restringimento) o una ostruzione completa se pur breve.
In questo nuovo scenario si auspica che nel momento in cui il paziente viene portato in sala angiografica sia già stata effettuata una diagnosi certa e pianificato un trattamento, trasformando così l’angiografia in un vero e proprio intervento terapeutico per riportare il sangue a scorrere nelle arterie, un’alternativa meno invasiva rispetto all’intervento chirurgico.
In pratica l’angiografia risulta invasiva se considerata come strumento di diagnosi mentre poco invasiva se utilizzata per l’intervento terapeutico.
In un certo senso si, infatti se volessimo attribuire un grado di rischio all’angiografia operativa ed all’intervento di rivascolarizzazione quest’ultimo risulterebbe sicuramente più invasivo. E’ un intervento chirurgico prevede in primo luogo una assistenza anestesiologica in anestesia generale o spinale e più incisioni cutanee, uno all’altezza dell’inguine e uno all’altezza del ginocchio o della caviglia, per inserire un tubo protesico in grado di portare il sangue dove non arriva.
L’angiografia può rappresentare dunque un ponte tra la sola diagnosi e il trattamento. Potrebbe sembrare un’ovvietà, ma ancora frequentemente questa tecnica viene utilizzata a scopo esclusivamente diagnostico e non terapeutico.